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Dove si parla di tutto e di niente, di libri e di storia, di film e di racconti. Un salotto senza pretese, per chi vuole parlar di cose pesanti e di sciocchezze

giovedì 29 agosto 2013

recensione UNO SPLENDIDO DISASTRO

UNO SPLENDIDO DISASTRO

 Autrice: Jamie Mc Guire                                                    Titolo: Uno splendido disastro                              Edizione:Garzanti                                                          Genere:Young Adu 
   Uno splendido disastro è un caso editoriale unico, un fenomeno mondiale. La rete è invasa di commenti, schiere di lettori reclamano un secondo romanzo al più presto, dilagano forum dedicati ai due romantici protagonisti. Venduto a una delle più importanti case editrici americane dopo un'asta agguerrita, ha scalato la classifica del «New York Times» rimanendo per settimane ai primi posti. Sentimenti inconfessabili, lotte interiori, passione proibita fanno di Uno splendido disastro un romanzo da cui è difficile non diventare dipendenti. Camicetta immacolata, coda di cavallo, gonna al ginocchio. Abby Abernathy sembra la classica ragazza perbene, timida e studiosa. Ma in realtà Abby è una ragazza in fuga. In fuga dal suo passato, dalla sua famiglia, da un padre in cui ha smesso di credere. E ora che è arrivata alla Eastern University insieme alla sua migliore amica per il primo anno di università, ha tutta l'intenzione di dimenticare la sua vecchia vita e ricominciare da capo. Travis Maddox di notte guida troppo veloce sulla sua moto, ha una ragazza diversa per ogni festa e attacca briga con molta facilità. Dietro di sé ha una scia di adoratrici disposte a tutto per un suo bacio. C'è una definizione per quelli come lui: Travis è il ragazzo sbagliato per eccellenza. Abby lo capisce subito appena i suoi occhi incontrano quelli profondi di lui e sente uno strano nodo allo stomaco: Travis rappresenta tutto ciò da cui ha solennemente giurato di stare lontana. Eppure Abby è assolutamente determinata a non farsi affascinare. Lei no, non ci cadrà come tutte, lei sa quello che deve fare, quel ragazzo porta solo guai. Ma quando, a causa di una scommessa fatta per gioco, i due si ritrovano a dover condividere lo stesso tetto per trenta giorni, Travis dimostra un'inaspettata mistura di dolcezza e passionalità. Solo lui è in grado di leggere fino in fondo all'anima tormentata di Abby e capire cosa si nasconde dietro i suoi silenzi e le sue improvvise malinconie. Solo lui è in grado di dare una casa al cuore sempre in fuga della ragazza. Ma Abby ha troppa paura di affidargli la chiave per il suo ultimo e più profondo segreto…

Jamie McGuire, già autrice di tre romanzi entrati nei bestseller del «New York Times», vive in Oklahoma con il marito e i figli.   

RECENSIONE DI VOLPE D'ORO

Personalmente, questo libro mi è sembrato uno sviluppo della scrittura della fanfiction, la dimostrazione pratica che lo Young Adult è la commercializzazione di un racconto scritto da un fanwriter. Lo stile di lettura e della narrazione è lampante a mio parere. La trama si rivela decisamente fragile e con poco spessore. I personaggi non hanno una caratterizzazione da scartare ma quello che non si deve mai dimenticare è che non si deve prendere in giro il lettore in modo superficiale. Il comportamento del personaggio maschile, Travis è ingiustificabile, sia per questioni di sensibilità (a tratti pare un tizio uscito da un videogioco picchiatutti), sia in termini di trama. Il suo comportamento da stalker è davvero pessimo e  lo rende abbastanza inquietante come personaggio.
Il problema della storia è la logica delle loro azioni...un difetto che già compariva nella saga della Meyer e che qui prende finalmente corpo. La stessa Pidge è a tratti insensata. I suoi problemi familiari sono davvero un ottimo modo per variare il tema in maniera originale...ma l'autrice non va oltre. Nella parte iniziale della storia, era un ottimo personaggio...ma con il prosieguo si rivela decisamente moscia, simile a Bella Swan in New Moon, dove mi era scaduta di brutto.                                                  
Forse è la mia anima femminista che grida l'assurdità di questo tipo di comportamenti, boh. In ogni caso, nel corso della trama, assistiamo ad un escalation di stalkeraggio, pestaggi a sangue privi di senso, pianti altrettanto inspiegabili come quelli di una telenovelas sudamericana e, dulcis in fundo, l'altrettanto assurda riappacificazione a prescindere da chi ha un briciolo di amor proprio. Il ritmo va a singhiozzi con colpi di scena che, a mio parere, servono solo a salvare il lettore dalla narcolessia ma che, di fatto sono poco funzionali per dare vigore alla storia. Questo libro, come idea, avrebbe pure del potenziale, ma non è stato sfruttato a dovere nei suoi punti di forza...e tutto si è risolto con una trattazione superficiale dell'argomento. Molti passaggi, come il rapporto con il padre, meritavano maggiore cura ma tutto si è risolto in un susseguirsi di vicende che servivano solo da riempitivo di una vicenda che poteva essere raccontata meglio. In conclusione, non posso che essere critica con questo libro. Si legge bene, è un valido passatempo per trascorrere qualche oretta sotto l'ombrellone...ma non lascia molto dietro di sé.

VOTO FINALE: 6

sabato 10 agosto 2013

Vestali: miti da sfatare

 VESTALI 

1 Miti da sfatare


Con questo post, inauguro la sezione "Antiquitates", dedicata alla storia. L'argomento è l'unico ordine sacerdotale femminile dell'antica Roma: le vestali.
Proverò a stornare da questo gruppo di sacerdotesse alcune convinzioni, sperando di dare un quadro esauriente della loro condizione.

Chi erano le vestali?

Erano sacerdotesse consacrate al culto della dea Vesta, la dea del focolare e,  in questo caso del fuoco di Roma. Il loro compito era tenere accesa la fiamma. Essa doveva essere creata sul luogo e non trasportata da qualche bracere. Il suo fuoco teneva lontani i nemici di Roma ed aveva un profondo valore sacrale. Inizialmente erano 3 o 4 ma finirono con il diventare 6 ed erano scelte all'interno di un gruppo di 20 bambine patrizie, con entrambi i genitori viventi e nessun parente in vita che appartenesse a qualche collegio sacerdotale. Inoltre le prescelte non dovevano possedere difetti fisici. Era il pontefice massimo a determinare chi avrebbe preso parte al collegio, dal momento che era suo compito vigilare sulla loro condotta. L'ingresso della futura vestale, avveniva attraverso un finto rapimento, detto captio.

Era davvero un onore per una patrizia essere una vestale?

La risposta è un secco sì. Occorre giudicare la cosa con l'occhio di uno storico. Per molto tempo, e anche ora, si tende a paragonare la vestale alla suora...niente di più sbagliato. Innanzitutto, il servizio sacerdotale delle vestali durava 30 anni, come riferiscono gli storici, soprattutto stando alle disposizioni emesse da Numa Pompilio in proposito. Al termine di ciò, esse potevano tornare alla vita di sempre. Ben poche lo facevano.
Prima di tutto, sposare una vestale era un vero onore, anche se alcuni sostenevano che portasse sfortuna. Le opinioni erano contrastanti in proposito. Inoltre, la sacerdotessa, tornando alla propria famiglia, avrebbe dovuto rinunciare a tutti i suoi privilegi. Gli onori che una vestale possedeva e, in particolar modo, i suoi diritti erano superiori a qualsiasi donna dell'epoca. Vi si avvicinavano solamente le donne romane che avessero avuto almeno 3 figli...pensate a delle poverette che hanno vissuto dai 6 anni in su come sacerdotesse! Inoltre, potevano testimoniare in tribunale senza prestare giuramento, fare testamento ed erano onorate da tutte le cariche politiche. Tutti dovevano lasciar loro il passaggio.
L'aspetto della castità, poi, è un elemento che conta fino a un certo punto. Le matrone vivevano il sesso solo in funzione di procreare dei figli per la gens del marito, con una serie di tabù sessuali che rendevano l'atto stesso un'operazione passiva e poco gratificante...per cui, occorre essere cauti su questo genere di affermazioni. Inoltre non erano recluse ma potevano girare liberamente, accompagnate dal littore che aveva lo scopo di segnalare il suo status. Alcune possedevano delle villae, lasciate alla gestione di liberti e clienti.

Come la prendeva la famiglia?

Meno peggio di quanto si pensi. Consideriamo che la nascita di una femmina, nel mondo romano, era un evento tutt'altro che lieto. Non avrebbe mai tramandato il nome della gens paterna e rappresentava solo uno strumento di alleanze e un onere economico.
Se una patrizia entrava nel collegio delle vestali, la gens di questa otteneva un certo spicco, dato il prestigio del sacerdozio e la sua esclusività. La giovane era infatti scelta dal pontefice massimo e non entrava per cooptatio di qualche parente.
Il prezzo di tutto questo era che la donna non era più soggetta al pater familias, ruolo assunto dal pontefice massimo e mantenuta a spese dello Stato...ma tutto questo valeva i vantaggi che la gens otteneva di riflesso da questa scelta. Malgrado poi fossero sottratte all'influenza della gens in cui erano nate, le vestali potevano comunque mantenere i rapporti con i genitori e la famiglia, facendo loro visita. In conclusione, parte delle rinunce, che girano attorno alla verginità di queste sacerdotesse, sono soprattutto una leggenda. C'erano dei sacrifici, dovuti alla rigida disciplina ma occorre contestualizzare, confrontando l'esistenza di queste donne, servite con ogni onore, con la condizione di vita di una donna dell'epoca. Solo allora potremo giudicare bene la questione.

mercoledì 7 agosto 2013

Lanterne Rosse

L'estate porta con sé molto tempo libero, a meno che tu non debba studiare o lavorare.
Io appartengo alla prima categoria, ovvero lo studio.
Ho scritto alcune recensioni su dei generi che ho letto e che, almeno un po', mi sono piaciuti. Sono una lettrice onnivora e leggo quasi tutto, anche se non sembra. Oggi però, ho deciso di scrivere una recensione su un film, a partire da quella che funge da presentazione alla pellicola.

Lanterne rosse

 

Lanterne rosse (Cinese semplificato: 大红灯笼高高挂; Cinese tradizionale: 大紅燈籠高高掛; pinyin: Dà Hóng Dēnglóng Gāogāo Guà; letteralmente "Appendete in alto la grande lanterna rossa") è un film del 1991 diretto da Zhāng Yìmóu, basato sul romanzo Mogli e concubine di Su Tong.
Con questa opera la Cina si affaccia alla ribalta cinematografica.[1]

Trama

Cina del Nord, periodo dei signori della guerra, 1920: dopo la morte del padre, la giovanissima studentessa universitaria Songlian decide di sposare Chen Zuoqin, maturo discendente di una antica dinastia, per contrasti insanabili con la matrigna. Lui ha già tre mogli: Yuru, Zhuoyun e Meishan, e tutte aspettano che davanti alla loro porta vengano appese le lanterne rosse, che stanno a significare che il marito passerà la notte con loro e che potranno disporre di certi privilegi per il giorno in corso e per quello successivo, fino a che le lanterne non si accenderanno di nuovo.
Songlian ben presto si rende conto di cosa in realtà la aspetti tra le mura del palazzo e quanto quel semplice massaggio ai piedi, privilegio per la prescelta, stia divenendo un'ossessione: Zhuoyun, la seconda moglie, nonostante i suoi modi gentili, in realtà la odia, e con la complicità di Yan'er, la domestica di Songlian, trama alle sue spalle ricorrendo a malefici mortali; la stessa Yan'er sogna di essere scelta come concubina e nell'attesa accende le lanterne rosse usandole di nascosto; Meishan, ex-soprano ancora attraente e quindi ancor più gelosa delle attenzioni rivolte a Songlian, finge di avere continui malori (complice il medico di famiglia Gao) e disturba l'intimità della coppia con il suo canto. Dopo un incidente con Zhuoyun in cui per un errore calcolato dalla stessa le taglia parte dell'orecchio, Songlian, per riconquistare le attenzioni di Chen, che la trascura per punirla del suo continuo malcontento, finge di essere incinta, e nel palazzo si festeggia illuminando il cortile con le lanterne. Intanto Feipu, figlio di Yuru e Chen, torna, affascinando Songlian con il suono del flauto, cosa che il padre di lei faceva quando era in vita, ma Chen, saputo che lei teneva un flauto in camera glielo brucia, non sapendo che era l'unico ricordo che Songlian avesse del defunto padre. Yan'er, scoperto l'inganno di Songlian, riferisce tutto a Zhuoyun, che attraverso un sospetto di malattia fa visitare Songlian e rivela l'inganno.
Chen indignato fa coprire di nero le lanterne del cortile, segno di umiliazione eterna, e Songlian, per tutta risposta, brucia le lanterne rosse usate da Yan'er nella sua camera, e rivela la vergogna della domestica; questa viene punita con l'inginocchiarsi nella neve per ore, cosa che provocherà la sua morte per polmonite. Songlian per l'accaduto cade in depressione e si ubriaca, rivelando il patto e la tresca di Meishan e Gao, e causando così anche la morte della terza moglie, con cui Songlian era infine entrata in confidenza, che viene impiccata nella camera della morte come altre prima di lei. Scoperto l'accaduto e ormai sull'orlo della follia causata da quell'ambiente in cui le concubine vengono depravate dalla competizione tra loro, dalla gelosia e dalla reclusione seppure dorata, Songlian impazzisce: addobba la casa di Meishan con le lanterne, suona un suo disco e crea l'illusione di un fantasma nella casa. Trascorre un anno, e vediamo Songlian vagare in trance nel cortile. L'ultima moglie di Chen, una giovanissima ragazza poco più che bambina appena giunta al palazzo chiede chi sia costei: "Era la nostra quarta signora - le viene risposto - è diventata pazza". La vita delle concubine continua: la stessa che Songlian non ha potuto sopportare.

Differenze con il libro

  • La tradizione delle lanterne rosse, non presente nel libro, non ha riscontri storici.
  • Di conseguenza, gli episodi di Yan'er che appende le lanterne rosse nella sua stanza e della sua punizione sono stati aggiunti dagli sceneggiatori.
  • Yan'er nel libro muore di tifo (e non di polmonite) dopo che Songlian la obbliga a mangiare un pezzo sporco di carta igienica dove era stato disegnato il suo ritratto (un altro tentativo di fattura da parte di Zhuoyun).
  • Songlian non finge di essere incinta per far trascorrere più tempo a Chen nella sua stanza, né infrange la tradizione pretendendo di pranzare in camera.
  • Nel libro Zhuoyun non accusa apertamente Songlian di averle tagliato l'orecchio di proposito.
  • Al posto della "stanza della Morte", nel libro le concubine traditrici vengono gettate in un pozzo nel cortile posteriore.
  • Meishan non viene "tradita" da Songlian; è Zhuoyun che, di sua iniziativa, la segue e la smaschera.
  • Il rapporto con Feipu è molto più profondo di quanto mostrato nel film, diventando addirittura causa di un litigio tra Yuru ed il figlio.
  • Dopo la morte di Meishan, Songlian non inscena nessun trucco per far credere che il fantasma della terza signora aleggi sulla casa.

Curiosità

  • Chen non si vede quasi mai in volto.
  • Il film nell'edizione cinese è stato pesantemente censurato.
  • Il film ha rivelato agli occidentali il fascino di Gong Li, la protagonista, che venne in seguito ingaggiata da Hollywood.

 COMMENTO

Ho visto questo film per puro caso ed ammetto che è il primo film del cinema cinese, impegnato, che vedo, grazie a Rai Movie. Gong Li è un'attrice di spessore. Ha una fisionomia che buca letteralmente lo schermo. Il film si struttura come un'immensa tragedia greca, sul piano della forma. Tutto avviene in un ambiente chiuso, dove il movimento è davvero minimo. La casa del nobile che la protagonista sposa ha toni freddi e statici che, con l'andar della pellicola creano uno spazio claustrofobico e asfittico, simile ad una gabbia. Meishan, con il suo canto, assomiglia ad un uccellino in gabbia e rende bene l'idea della condizione delle mogli. 

I dialoghi sono apparentemente gentili ma, con il prosieguo della storia, si percepisce sempre di più la cattiveria in essa contenuta. A farne le spese, sono la terza e la quarta moglie, entrambe insofferenti per la loro condizione. 

Chen compare pochissime volte sulla scena e, altra finezza del regista, appare sempre come una sagoma semicelata nella casa, al punto che non si vedono i suoi tratti. La sua importanza è tuttavia enorme, al punto da determinare la vita e la morte delle sue mogli, senza nessun rimorso per le sue azioni. E'un personaggio esterno alla casa, che tiranneggia con una durezza senza pari, senza curarsi degli attriti tra le proprie mogli. 

Per parte loro, la competizione reciproca è sottile e pericolosa. Nemmeno avere dei figli serve a mettere le spose al riparo da questa guerra sotterranea che Chen maneggia a suo piacimento, fomentandola con la sua scelta. Songlian non reggerà a questo clima perché non sa dissimulare come le prime due spose e non riesce a mantenere il controllo. L'astuzia della seconda moglie ha la meglio, grazie all'aiuto della serva di Songlian. La modernità di Songlian le impedisce di adattarsi a questa vita reclusa, che aveva accettato inizialmente per sfuggire alla matrigna.

Anche Meishan è perdente in questo schema corrotto. Ha lasciato le scene ma ne sente la mancanza, come dimostra il suo continuo cantare, sia pure per infastidire Chen e Songlian. Ha scelto questo matrimonio per avere le comodità ma il prezzo è altissimo. Nemmeno un figlio serve a migliorare questa prigionia...e troverà la fuga nel tradimento con un dottore, cosa che la porterà alla sua tragica fine. 

I delitti della casa, frutto del castigo di Chen sono avvolti nella più profonda omertà, dal momento che il padrone ha diritto di vita e di morte sui suoi abitanti. L'interesse per le mogli si manifesta nelle visite alle loro case e in doni che tuttavia non possono ripagare le perdite affettive, come il flauto di Songlian. 

Il film è davvero incisivo, sebbene non vi siano scene violente. La staticità degli ambienti, ripetitiva e inquietante, è magnifica perchè esprime benissimo la prigionia ed il degrado dei suoi abitanti. La protagonista e gli altri personaggi sono magnifici e consiglio a chi volesse di dargli un'occhiata. Da vedere,