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Benvenuti al salottoclassico

Dove si parla di tutto e di niente, di libri e di storia, di film e di racconti. Un salotto senza pretese, per chi vuole parlar di cose pesanti e di sciocchezze

sabato 5 aprile 2014

CONTRATTO FINALE

Probst Jennifer - Contratto finale

Contratto finaleTitoloContratto finale
AutoreProbst Jennifer
Prezzo
Sconto 15%
€ 12,66
(Prezzo di copertina € 14,90 Risparmio € 2,24)
Dati2014, 394 p., brossura
TraduttoreCrosio O.
EditoreCorbaccio  (collana Romance)
 Disponibile in eBook € 9,99

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Descrizione
Le sue sorelle hanno avuto un matrimonio da sogno con il loro principe azzurro, ma Giulia Conte no. E nemmeno sembra importarle molto adesso: lavora come top manager nell'azienda di famiglia e questa è la sua vera passione, insieme al suo splendido appartamento di Milano, la città della moda, del lusso e delle nuove tendenze. Ha tutto per essere felice, almeno così crede lei, fino a quando non incontra Sawyer Wells, un uomo d'affari bello da morire che le propone una partnership nella sua catena di raffinatissimi life style hotel. Giulia è reduce da una storia d'amore finita male, e fidarsi dell'amico di suo cognato, con quello sguardo che da solo la indurrebbe a trovare un utilizzo assai poco ortodosso per una sala riunioni... è una scelta più che rischiosa... Ma con la prospettiva di lanciare l'azienda sul mercato mondiale, troverà il coraggio di mescolare i freddi affari alla forza irresistibile della seduzione erotica?

Recensione di volpedoro

Al termine di questa tetralogia, non si può non dire che la Probst è una vecchia volpe del genere. Anche se lo schema della storia mantiene sezioni narrative identiche è il contenuto che varia la trama, dandogli un tocco originale in tutti e 4 i libri. Certamente, la scarsa conoscenza del mondo italiano appare per molti aspetti irrealistica, per non dire irritante. La Probst pare fissata con i matrimoni riparatori e le manovre da mezzana della signora Conte appaiono abbastanza seccanti. Si tratta comunque di un'irritazione secondaria, per non dire irrilevante, ai fini del giudizio complessivo della storia. L'attrazione tra Giulia Conte e Sawyer Wells occupa buona parte del libro, lasciando per ultime le acrobazie erotiche, che arrivano dopo un'attesa sempre più impaziente. Confrontando queste scene erotiche con quelle dei libri precedenti, posso dire che la Probst realizza quello che non è riuscita a fare con i romanzi che compongono la trilogia: dare alla storia un tocco BDMS. Se in Contratto Indecente, la cosa si riduce quasi ad una forma di burlesque, un omaggio quasi giocoso, in Contratto d'Amore e Contratto Finale, questa patina si fa più solida e anche se l'autrice non usa tutte le sue carte, il rapporto tra dominante e sottomesso si realizza pienamente, senza l'uso di un repertorio tecnico sofisticato. Nell'ultimo romanzo, poi, tutto questo non degrada il personaggio femminile e si crea comunque quella complicità che occorre in un rapporto del genere.
Inoltre, i personaggi si configurano con luci e ombre, con i loro rispettivi problemi che alla fine vengono risolti insieme, con l'aiuto delle persone accanto. Ripeto. Anche se questo libro è del genere erotico, la trama è solida e ben delineata. Sì, l'autrice costruisce l'Italia grazie a Il Padrino ma prenderei la cosa in modo leggero, senza dargli troppo peso. Questi 4 libri sono ben costruiti ed è stato un piacere leggerli.

GIUDIZIO: 9

sabato 8 marzo 2014

buon 8 marzo


Oggi è la festa della donna.
Oggi è il giorno in cui si dovrebbero festeggiare tutti gli individui di sesso XX...e mi viene da pensare. Inizialmente non avevo mai fatto caso a questo giorno, se non per il fatto che, andando nei negozi, ricevevo un mazzolino di mimosa. Ora però, riflettendo su questa festa, mi viene da pensare...e vorrei che non fosse festeggiata.
No, non prendetemi per matta.
Non è per quello che credete tutti.
Non è per una questione di snobismo che mi fa vedere quanto la festa possa essere retorica...è per altro. Se infatti deve essere proprio necessaria una festa per evidenziare l'invito al rispetto per le donne, significa che nella realtà questo insegnamento non è ancora penetrato nel cervello di tutti. Se infatti fosse così, non vi sarebbe bisogno di rimarcare continuamente che non si devono massacrare le donne perché hanno detto no, perché non vogliono più vivere una relazione che non li soddisfa o altro. Se davvero c'è bisogno dell'8 marzo, allora forse, la via per ottenere una parità che sia davvero tale non è stata ancora raggiunta.
La strada non è ancora finita....c'è ancora molto da fare ma noi siamo tenaci e non molliamo.

BUON 8 MARZO E IN BOCCA AL LUPO A TUTTE QUANTE!

martedì 4 febbraio 2014

Patricia Brent, zitella

Patricia Brent, zitellaTitoloPatricia Brent, zitella
AutoreJenkins Herbert G.
Prezzo
Sconto 15%
€ 12,75
(Prezzo di copertina € 15,00 Risparmio € 2,25)
Dati2012, 249 p., brossura
TraduttoreAlessandri F.
EditoreElliot  (collana Raggi rosa)
 
Disponibile anche usato a € 7,50 su Libraccio.it




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Descrizione
Siamo a Londra, durante gli anni della Prima guerra mondiale. La giovane Patricia lavora per un politico dalle scarse capacità e vive alla Galvin House, una pensione dove risiede una variegata ed eccentrica galleria di personaggi. Un giorno, la ragazza ascolta casualmente una conversazione tra due ospiti che parlano di lei con accenti pietosi, sottolineando come la ragazza non abbia nessuno che la inviti mai fuori. Sentendosi umiliata, in un momento di rabbia Patricia fa intendere agli abitanti della pensione di avere un fidanzato, sollevando la curiosità di alcune signore ficcanaso. Naturalmente, il fidanzato non c'è, né si intravede all'orizzonte, e quella che all'inizio sembra una innocua bugia facile da gestire si trasforma in una travolgente commedia degli equivoci: per paura di essere scoperta, infatti, Patricia coinvolge nella messinscena un ufficiale incontrato in un ristorante. Ma il giovane non è un ragazzo qualsiasi, si tratta di lord Peter Bowen il quale, con il passare del tempo, non si limita a reggerle il gioco ma si fa sempre più insistente perché il fidanzamento si concretizzi, tra lo sgomento di Patricia e molti malintesi. Pubblicato per la prima volta in Inghilterra nel 1918, questo romantico e brillante romanzo fu un grande successo. La sua fortuna editoriale dura ancora oggi ed è continuamente ristampato come piccolo classico dell'umorismo inglese nella tradizione di Oscar Wilde.

Recensione di volpedoro

Ho letto questo libro quasi per caso e ammetto che è stata una piacevole scoperta. 
L'autore ha creato una simpatica commedia romantica, con personaggi frizzanti e venati da un umorismo tipicamente britannico che, anche se a noi italiani fa poco effetto, è decisamente ben congegnato. Il suo punto di forza è una sostanziale leggerezza, che lo rende particolarmente adatto come lettura d'intrattenimento. L'umorismo con cui prende in giro la convenzione sociale della donna single=infelice è abbastanza garbata e, a tratti piuttosto moderna, considerando il periodo storico in cui è stato scritto. La galleria degli ospiti della locanda è assolutamente realistica e fa abbastanza ridere, sia pure con un certo contegno. Equivoci e episodi ironici impediscono al lettore di annoiarsi. Consiglio questo romanzo ai single che sono stufi di etichette e  a coloro che amano ridere sopra a questi schemi artificiosi.

Voto: 9

martedì 14 gennaio 2014

PERCHE' LA TIMIDA E INTROVERSA NON E'NECESSARIAMENTE UNA CRETINA

PERCHE'LO STUDENTE TIMIDO/INTROVERSO
NON E'UN CRETINO



Questo post nasce da una considerazione che ho maturato in questi anni.
Ho sempre desiderato essere un'insegnante, fin dalle elementari.
Quello che davvero mi premeva era riuscire a tirare fuori dall'alunno, il talento in suo possesso, qualunque esso fosse. Le mie esperienze alle medie e al liceo sono state piuttosto altalenanti.
Le prime, drammatiche sul piano relazionale, ottime su quello dello studio.
Le seconde, grigioscuro nelle relazioni, idem per lo studio, con un rapido declino negli ultimi due anni. Premetto che sono sempre stata una persona molto studiosa, con un unico enorme difetto: una naturale introversione che, se messa all'angolo, diventa timidezza cronica. Non mi aspetto discorsi da psicologo perché non sono capace di farli ma posso dire che il docente ha un ruolo importante, nel saper cogliere le caratteristiche dell'alunno. Il maestro è fondamentalmente un'artista, nel senso che deve saper scoprire le doti dello scolaro e lavorarle in modo da dargli gli strumenti per poter emergere. Maieuitica, direbbe Socrate. I geni non esistono, a mio avviso e, se anche fossero, di certo il merito va anche a coloro che li hanno seguiti.
Se l'alunno è estroverso, per chi insegna è una passeggiata.
La sua naturale apertura lo fa apparire vincente, capace di mettere in campo le energie per emergere e per far vedere le sue doti. In sintesi è un leader nato, o comunque una persona promettente.
Il docente che lo segue fa uno sforzo minimo per spronarlo.
Diverso discorso vale per lo studente introverso, quello che parla poco, che partecipa scarsamente alla vita della classe, che sta sulle sue, che sembra impacciato e che magari non è un grande atleta.
Ecco, a mio parere, è con questo tipo di alunni che si vede quanto è bravo l'insegnante.
Rispetto a quello estroverso, bisogna scavare, per vedere il suo valore e non fermarsi alle apparenze.
Maieutica socratica, è lecito ripetere.
Come ex alunna, posso assicurare che questo talento è scarso tra i docenti.
Di solito, il timido viene visto come una sorta di fenomeno da baraccone da correggere, come se fosse una specie di soggetto difettoso della società. Nel mio caso, ammetto che la mia tendenza a stare sulle mie, che avevo fin dall'asilo, era stata vista come una stranezza per i miei ma, su suggerimento dei maestri, non aveva sollevato troppe pressioni su di me.
Tutto ciò è stato un bene e non posso non ringraziare i miei professori delle medie e le maestre delle elementari per non aver tentato di cambiare la mia natura per qualche idea preconcetta. E'inutile girarci attorno. Le persone non sono tutte uguali ma pochi credono davvero a questa massima. Di fatto, la tendenza maggiore e qualunquista vorrebbe che i ragazzi siano scapestrati, ribelli, una sorta di guerriglieri pseudosessantottini, se mi è concesso il termine.
Nel malaugurato caso in cui il soggetto sia invece timido, posato, introverso, tranquillo nei modi e gentile e diligente nello studio...bhé, allora è una sciagura, un difetto assolutamente da correggere, sintomo di un malessere di fondo, quasi emo, e passibile delle peggiori disgrazie per il futuro di questi.
Nei migliori casi, il professore/insegnante è propenso a forzare la mano per inserire l'interessato in attività di gruppo che hanno lo scopo di scongiurare l'isolamento. Il che non è completamente nocivo ma non muta nella sostanza quello che è essenzialmente un modo d'essere del ragazzo.
Nei peggiori, come è successo a me, si limita a fissarti da lontano, trattandoti come se fossi malata o con problemi psichici, con quella finta compassione che si vede talvolta negli ambienti bigotti e ipocriti di chi pensa di avere la coscienza a posto e (purtroppo) ci crede...salvo poi consigliare i tuoi genitori di mandarti a qualche campo solare per aiutarti. Naturalmente, senza dirti tutto questo di persona.
Sarò franca.
Questo tipo di atteggiamento fa dei danni non da poco perché insinua il dubbio che l'introverso, lo schivo, il timido, sia un soggetto che soffre di qualche disturbo, incapace d'intendere e di volere. Il che è vero...ad essere soggetto che procura il danno è il professore che vuole omologare il ragazzo/a ad una maschera che non lo rappresenta ma che si ostina a imporre, per non mettersi in discussione. Ripeto: la normalità non esiste. Non esistono persone normali ma persone che stanno bene con sé stesse.
Da timida, affermo di aver sofferto non poco questo falso buonismo, anche perché, pur essendo estranea al gossip, ho un sesto senso che non tradisce mai e a cui purtroppo non do sempre ascolto. Oltre a questo atteggiamento, quella docente perseverò con questa condotta durante gli esami, lasciando ben intendere nei modi, mai nelle parole, che ero un soggetto non recuperabile e che era già tanto se prendevo sette meno. Come se non bastasse, era una persona che faceva favoritismi e, con quello che aveva detto alla mia famiglia, si rivelò impossibile non sospettare dei suoi criteri di valutazione.

MI SPIEGO MEGLIO
Al biennio, avevo avuto una docente molto severa. Era una che dava al massimo 7 e mezzo e 2 se consegnavi il compito in bianco. Era uno di quei generali in gonnella che ti faceva un culo così, mazziandoti pesantemente se facevi una stronzata. Una volta mi fece una piazzata per un tema che, fin dall'inizio, avevo saputo essere una ciofeca. Ammetto che ci rimasi male ma sapevo di meritarlo. La professoressa era una dura, una donna con le palle cubiche...e la adoravo.
Sapete perché?
Perché non ti trattava come un bambino e perché, dalla sua condotta inflessibile, ti dava la garanzia che il 100% della valutazione era merito tuo. Non è poco. Quello che l'alunno vuole è sapere che tu tratti tutti allo stesso modo e poco importa se non tremi di fronte alla lacrima di uno di loro, quando lo chiami a interrogazione e lui non vuole.
Se tu sai che l'altro, difetti a parte, ha un metodo di valutazione oggettivo e che peraltro ti spiega, in tutta l'evidenza, perché hai quel voto e non un altro, anche la tua vita come studente migliora. Il docente deve fare questo, niente di più.
Perché sai di esserti meritato quel voto e che te lo sei sudato con le tue forze.
Anche l'introverso beneficia di questo tipo di approccio perché gli dà lo strumento per imparare, senza immischiarsi nella sua disposizione di carattere. Chi diventa insegnante non ha nessun diritto di adottare un criterio di giudizio basato su quello che si aspetta dall'alunno, in termini caratteriali. Cosa sarebbe successo, secondo voi, se uno come Bill Gates avesse avuto per docente una persona che pretendeva che fosse campione di football o, comunque, un grande simpaticone che chiacchiera con tutti, con fare invadente? Che cosa sarebbe successo se questo docente avesse spinto il ragazzo ad andare ai campi solari, coinvolgendolo in giochini stupidi, spingendolo a chiacchierare con persone con cui non avrebbe mai parlato in termini confidenziali, pretendendo da lui un modo di fare da simpaticone e rubandogli il tempo di studiare?
Vi rispondo io: Microsoft non esisterebbe.

In sintesi, il timido non è un malato mentale. Lo diventa quando, non accettando la sua sensibilità, si pretende di trasformarlo in qualcosa di socialmente accettabile e facendo in modo di mettere in dubbio la legittimità del suo modo d'essere. Il timido è, fondamentalmente, un introverso, uno che non segue per natura i sentieri già battuti, uno che ha una sensibilità molto acuta e che chiede solamente una cosa: che la gente la smetta di rompergli i coglioni, pretendendo da lui un modo d'essere che gli è completamente estraneo.
L'introverso non è un infelice.
Pensate davvero che Bill Gates sia infelice per la sua passione per i numeri?
L'introverso non è un disadattato ma, se inserito tra persone, schiave di preconcetti artificiosi, di schemi mentali irreali, la sua difficoltà aumenta.
Il docente non dovrebbe uscire fuori dal seminato e pretendere fiducia dall'alunno.
Deve conquistarsela, ballando su un sottile equilibrio:
1. Rimanere fedele al programma di studi
2. Tirare fuori il talento dall'alunno. Tutti lo possiedono...ma la domanda è: il professore è capace di cogliere questa scintilla, impedendo al ragazzo di rimanere solo, dandogli fiducia e trovando il modo di sfruttarlo al meglio, nei limiti del possibile?
Questa è la vera difficoltà.
Per come la vedo io, l'introverso non è un cretino ma può essere cretino il professore che lo valuta.

domenica 12 gennaio 2014

IL SERVIZIO MILITARE DEL ROMANO

IL SERVIZIO MILITARE DEL ROMANO


L'immagine è presa da Wikipedia
Ricostruzione di un Tribuno Angusticlavio (Gruppo Legio XXX Ulpia Traiana Victrix)


Tappa fondamentale del cursus honorum del cittadino romano era il servizio militare.
La leva, se così vogliamo chiamarla, avveniva intorno ai 17 anni, poco dopo la cerimonia che riconosceva il romano come un adulto. In considerazione dello status sociale di partenza, il giovane romano di buona famiglia entrava nel corpo degli equites, ovvero dei cavalieri.
Se si trattava di un rampollo di buona famiglia, poteva entrare nello staff del generale, spesso legato a lui da vincoli di parentela ed amicizia. Il nepotismo non condannato all'epoca, anzi. Poteva essere considerato una prassi. E'possibile vedere questo fenomeno nelle iscrizioni. L'homo novus, infatti, mette in evidenza tutto il cursus honorum, sottolineandone ogni passaggio.
Il giovane che ha antenati illustri, e dunque una strada più spianata, avrà iscrizioni assai meno estese.
Il massimo della carriera in questa fase è ricoprire il ruolo di tribunus militum.

CHE COS'E' IL TRIBUNUS MILITUM?

Il tribunus militum è fondamentalmente un ufficiale. La carica durava normalmente due o tre anni  ed erano un passo ambito per ogni carriera politica di un certo prestigio.
Esistevano due tipi di tribuni: il tribuno laticlavius ed il tribuno angusticlavius. Il primo era di ceto senatorio e si distingueva dal secondo, di rango equestre, dall'ampiezza della striscia di porpora del suo abito. In entrambi i casi erano comunque una presenza d'obbligo nell'esercito. Erano eletti dopo i consoli nel numero di 24. I sei tribuni per legione sopravvissero anche dopo la riforma mariana dell'esercito, con l'introduzione di soldati professionisti. Sotto il legato c'era il tribuno laticlavius e sotto di lui gli angusticlavi. L'età minima per essere tribuno laticlavius era 20 anni e durava dai 5 ai 10 anni di servizio.
I 24 tribuni erano infatti ripartiti nel seguente modo : 14 con 5 anni di servizio e 10 con 10 anni di servizio.
Occorre dire che, per i senatori, dopo questa carica si aprivano le porte della carriera politica vera e propria.
In seguito il loro utilizzo si diversificò.
A partire dall'età del Principato, il tribunus venne impiegato come ufficiale superiore. Un compito assai frequente era quello di guidare le coortes dei vigili.
Il tribuno angusticlavius, per parte sua, rivestiva il secondo ruolo, per ordine di comando, nelle militiae equestris sotto l'imperatore Claudio, ed era più importante del prefetto della coorte ausiliaria ma meno della prefettura d'ala.
Il suo nome era tribunus cohortis milliariae

CONCLUSIONE

L'uomo romano, dal Mos Maiorum, aveva ereditato l'attitudine ad essere un contadino, un uomo partecipe della vita politica e, all'occorrenza un soldato, nel momento in cui la terra dove viveva fosse in pericolo. Il cursus honorum eredita questa ideologia ed era impossibile, per chiunque volesse accedere alla politica, sottrarsi a questo tipo d'impostazione.
Nemmeno i figli di senatori e cavalieri potevano sottrarsi a questa pratica che, a discapito dell'ascesa dell'esercito di professione, non venne mai abbandonata. Potevano ridurre gli anni di servizio con mansioni più leggere...ma doveva comunque essere chiaro il soggetto avesse lavorato nell'esercito. In sintesi, anche con le raccomandazioni, il romano doveva comunque fare il suo dovere.